Do you remember Balkan Route?

Reportage multimediale sulle rotte balcaniche dei profughi nel dicembre 2015

Prima Tappa

Ásotthalom, Ungheria

Röszke-Horgos, Ungheria

Sombor, Serbia

17 Dicembre 2015

Molto prima di noi questo era abisso

L

a Balkan route, il corridoio umano che ha permesso a migliaia di profughi provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan di attraversare i Balcani occidentali, si è aperta all’improvviso nell’estate del 2015. Nel giro di pochi mesi i numeri della marea umana che si muoveva da est verso nord sono aumentati, e la costanza del passo svelto delle persone che marciavano a piedi lungo sei nazioni pur di entrare in Europa, ha costretto i governi a prendere delle decisioni sulla loro sorte. Dopo la costruzione del muro in Ungheria voluto dal primo ministro Viktor Orban, e la decisione di sospendere gli accordi di Dublino e offrire asilo ai profughi, la Balkan route si è trasformata in un percorso assistito a scorrimento veloce per smistare l’esistenza degli esseri umani in fuga dalla miseria della guerra.

D

o you remember Balkan route?, senza mai perdere di vista il significato simbolico della frontiera, racconta come i profughi abbiano superato confini e attraversato binari, riscrivendo percorsi di memoria sulla geografia balcanica. Basato su materiale raccolto nel dicembre 2015, il progetto ha fotografato un periodo di transizione, quando la rotta balcanica era ancora attiva e come in un magazzino per la consegna dei pacchi smistava velocemente i profughi in transito dalla Serbia fino all’Austria e alla Germania. Tre capitoli per raccontare cosa accadeva in quel preciso momento storico su tre frontiere: tra Ungheria e Serbia, tra Serbia e Croazia e tra Croazia, Slovenia e Italia.

L

a cittadina serba di Šid, a pochi chilometri dalla Croazia, si è trasformata in fretta in un laboratorio per tutto il continente europeo. Dalla stazione dei treni immersa nella nebbia della pianura pannonica, si è sviluppato lo snodo fondamentale della Balkan route, dove tutti i profughi transitavano per alcune ore prima di continuare il loro viaggio.

Con ogni evidenza, facciamo esperienza del limite

Seconda Tappa

Šid, Serbia

Adaševci, Serbia

18 - 19 Dicembre 2015

Per il futuro. Ricordarsi di sconfinare

N

el 2015 l'Europa si è accorta che migliaia di persone attraversavano i suoi confini orientali: illegali per legge, in balìa dei trafficanti e sottoposti alla violenza della polizia. La rotta balcanica è stata una parentesi destinata a chiudersi in fretta. Ma ha lasciato il tempo di interrogarsi su quale sarebbe stato l'impatto sugli abitanti di quegli stessi villaggi che già dopo la guerra nei Balcani, negli anni novanta avevano aperto le porte di casa ai profughi interni. Per la prima volta, i macedoni, i serbi, i croati e gli sloveni, che mai prima avevano conosciuto il fenomeno dell’immigrazione, hanno incrociato persone che fuggivano da un altro continente.

S

toricamente nei Balcani passava la linea di divisione tra le sfere di influenza di due imperi multinazionali, quello asburgico e quello ottomano. Tuttavia fu l'impatto dei nazionalismi in territori multilingue e multinazionali a dare origine alle tragedie del novecento. La guerra degli anni novanta e le sue conseguenze hanno portato all'erezione di nuovi confini, sette nuovi stati, separando comunità, territori e aggiustando la popolazione per creare paesi con una “geografia etnica” quanto più semplificata. Ma i confini, con qualche eccezione, si sono rafforzati anche verso l'esterno, con i Balcani occidentali che tutt'oggi rappresentano un ghetto interno all'Unione europea. Per molti anni la regione ha vissuto in un isolamento provocato in gran parte dalle limitazioni alla circolazione in Europa, regolamentata attraverso un sistema di visti, e il termine “Balcani” è diventato un sinonimo di alterità.

N

ell’ultimo secolo i confini amministrativi tra le ex repubbliche della Federazione jugoslava sono diventati confini per gli stati sovrani. Quello tra Ungheria e Serbia è rimasto lo stesso dai tempi della Federazione ma se ne è ribaltata la percezione: durante la guerra fredda per gli ungheresi la Jugoslavia appariva una porta dell'occidente per la sua posizione politica. Dagli anni novanta in poi, l'Ungheria è stata una via di accesso al mondo esterno per gli abitanti della Vojvodina serba stremata dall'embargo.

M

a se i confini geografici sono rimasti relativamente invariati, meno lo sono stati i popoli che hanno vissuto la regione costretti spesso forzatamente a spostarsi. Verso l'Ungheria gli ungheresi espulsi come collaborazionisti dopo la seconda guerra mondiale, negli anni '90 verso la Serbia e verso la Croazia i serbi in fuga dopo la riconquista croata dei territori separatisti delle Krajine e i croati dalla Vojvodina, che in alcuni casi si sono scambiati le case.

Nessuno vuole fermarsi qua

Terza Tappa

Slavonski Brod, Croazia

Sveta Lucjia, Croazia

Dragonja, Slovenia

19 - 20 Dicembre 2015

Pazzesco, non ci serve tutto questo

L

a Balkan route è durata circa sei mesi prima che le chiusure a catena dei confini da parte dei vari paesi e l'accordo tra Unione Europea e Turchia ne decretassero la fine. Nel marzo 2016 il Consiglio europeo di Bruxelles ha firmato un accordo sui migranti con il governo turco di Recep Erdoğan. Sulla base di questo documento, con l’obiettivo di alleggerire l’onere delle pratiche di accoglienza ai 28 stati europei, è stato stabilito che i profughi provenienti dalla Siria devono necessariamente presentare domanda d’asilo in Grecia. Dal canto suo, Ankara, in cambio di cinque miliardi di euro donati dall’Europa, si è impegnata nel pattugliamento delle coste del mar Egeo e nella gestione dei campi profughi come carceri a cielo aperto. Da allora la Grecia si è trasformata in limbo dove decine di migliaia di individui sono rimasti bloccati, e oltre al muro in Ungheria, anche la Macedonia ha sigillato il suo confine.

I

l filo spinato che tagliava i boschi alla frontiera tra Slovenia e Croazia per proteggere la fortezza Europa dai “clandestini” che non c'erano, è stato sostituito da una più elegante barriera di reticolato in previsione della stagione turistica. Nella primavera 2016 il fiume Kupa/Kolpa è esondato e ne ha portato via una parte, disperdendolo nell'ambiente. László Toroczkai, il sindaco guardiano del confine ungherese del villaggio di Ásotthalom, sta facendo carriera in politica e adesso è anche vicepresidente dello Jobbik (Movimento per l’Ungheria migliore), il partito nazionalista di estrema destra.

O

ggi il corridoio umanitario che accompagnava i migranti in transito dalla Serbia alla Slovenia attraverso la Croazia è stato chiuso. Ma la rotta balcanica non è scomparsa, si è solo spostata sotto la superficie, dove circa 200 persone al giorno riescono a passare dalla Serbia alla Croazia. I trafficanti ringraziano, gli stati della penisola investono grandi energie per cercare di scaricare i profughi al proprio vicino, mentre è stata di recente creata la European Border and Coast Guard, una versione potenziata di Frontex. I flussi si sono ancora una volta spostati in direzione dell'Ungheria, dove il transito continua con il contagocce, mentre cresce il numero dei profughi bloccati in Serbia, spesso privi di alcuna assistenza.



U

na prova di solidarietà da parte della società civile ma anche l'ipocrisia della politica e l'attitudine a usare i profughi come merce di scambio: i paesi dell'area post-jugoslava hanno dimostrato anche in questo di non essere diversi dal resto dell'Europa e di rifletterne le contraddizioni. Schiacciati ancora una volta tra il modello ungherese di campagne xenofobe e repressioni e il modello turco di baratto con le vite dei profughi, i paesi della ex rotta balcanica rimangono lì senza prendere decisioni, senza gestire i fenomeni, facendo finta di non vedere quello che accade sotto i loro occhi. Così hanno dimostrato ancora una volta di essere parte, nel bene e nel male, dell'Europa di oggi.